DIO E’ AMORE….come dovrebbe essere ogni papà…

 

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di Paola Tassinari                                                                              Se le corti del XIII secolo erano gentili e le miniature ricche dei colori della natura, raffiguranti volatili di ogni tipo, gli uccelli nel Medioevo vengono esaltati, si pensi all’arte della falconeria, il più gentile e il più vicino ai volatili fu senza ombra di dubbio, San Francesco. Il Santo si spoglia di tutto ciò che ha per via di sangue, il padre era un ricco mercante, forse Francesco voleva essere inizialmente un cavaliere cortese, ma si accorge che è “scortese” stare da “ricco” in mezzo a persone molto povere. Le parole di Gesù, preferite da Francesco: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del nido l’aria, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”, ci fanno capire che l’uomo cristiano non ha patria, o meglio tutto il mondo è la sua patria, l’amore per Cristo e tutti gli altri, anche gli animali, anche le piante, l’amore è il suo unico pensiero, la sua unica motivazione, la sua ricchezza è questa e non gli agi materiali. Il “Cantico delle creature”, anche noto come Cantico di Frate Sole, che è il testo poetico più antico della letteratura italiana che si conosca, opera di San Francesco, non venne considerato un’opera d’arte, sino alla fine del XVIII secolo, quando con gli ideali romantici l’opera venne rivalutata. Il Cantico è una lode a Dio che si snoda con intensità e vigore attraverso tutto il creato, pure la morte è chiamata sorella, è un inno alla vita; è una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l’immagine di Dio, da ciò deriva il senso di fratellanza fra l’uomo e tutto il creato, che si distanzia di anni luce dal disprezzo per il mondo terreno, segnato dal peccato e dalla sofferenza. La visione positiva porta infatti a vedere negli elementi, non delle catastrofi, la morte, anch’essa sorella: nessun uomo la può evitare e, per l’uomo in stato di grazia, anch’essa sarà un fatto positivo, il passaggio alla vera vita con Dio, Francesco “si fa un fritto” della teodicea. La teodicea cristiana fa derivare la sofferenza umana dalla giustizia divina, e separa (in un certo senso) la giustizia dalla bontà divina. La bontà starebbe nel dono del libero arbitrio, la giustizia nel punire il cattivo uso che gli uomini ne hanno fatto. Ma, secondo Zoroastro/Bayle, non può essere così: infatti, basta notare che fra gli attributi divini vi sono anche l’onnipotenza e l’onniscienza. Dio, quindi, sapeva che l’uomo avrebbe peccato e che per questo avrebbe dovuto punirlo e quindi farlo soffrire. Dio aveva il potere d’impedire che questo accadesse, ma non l’ha impedito: perché? Per non togliere all’uomo il dono del libero arbitrio? Ma che importa questo a Francesco, Lui ama incondizionatamente Dio, lodandolo e servendolo con umiltà, sapendo che se anche Dio si prendesse la briga di venirci a dire che cosa sta facendo, noi non saremmo in grado di capirlo.

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